“La scuola non migliora regalando paccottiglia”

“Pensare che il sistema educativo si modernizzi distribuendo un po’ di paccottiglia digitale è una fesseria”. Di fronte all’iniziativa “ioStudio Postepay”, Benedetto Vertecchi, pedagogo sperimentale e docente all’Università di Roma Tre, esprime senza mezze misure le sue perplessità.

Professor Vertecchi, che cosa non la convince di questa operazione?

Come al solito il ministero dell’Istruzione è sempre disponibile ad accreditare qualsiasi cosa che abbia l’apparenza della modernità, anche se poi non fa nulla di moderno. Non c’è nessuna ragione pratica nel concedere a un adolescente una carta ricaricabile.

Il Miur si difende e sostiene che serve a educare i giovani all’utilizzo della moneta elettronica….

Sarebbe più sensato coinvolgere lo studente in attività di manutenzione della scuola o di servizi e poi erogazione del denaro in cambio, per educarlo al concetto di mantenersi attraverso il proprio lavoro.

 Non crede che agli adolescenti serva un po’ di educazione su come evitare rischi legati agli acquisti in rete?

I ragazzi da quel punto di vista hanno qualcosa da insegnare a noi. Purtroppo, al contrario, hanno troppa consuetudine a usare gli “aggeggi elettronici”. Ci sono studi che dimostrano come questa generazione sia cresciuta perdendo il contatto con le attività manuali ed essendo concentrata sulla scrittura digitale subisca delle perdite a livello cognitivo.

Non è pensabile però tornare alla scuola di vent’anni fa, senza l’uso di internet…

Si, ma c’è stata un’enorme enfatizzazione di tutto quello che è digitale. Col risultato che una volta se entravi in una scuola ci trovavi i laboratori di chimica, di disegno, le biblioteche, le vetrine con i minerale e gli insetti, adesso solo un deserto. Tutto è stato smantellato in cambio di qualche computer che nel giro di pochi anni sarà obsoleto.

 Non pensa che con questa operazione il ministero si stia perlomeno ponendo il problema dell’educazione ai tempi del web?

Quello è un problema che bisogna porsi molto prima che nell’adolescenza, con i bambini di qualche anno di età. La generazione attuale impara a parlare più tardi di quelle precedenti, perché è più esposta al linguaggio passivo dei media digitali. Bisognerebbe partire da questo dato.

[Da “il Salvagente” nr. 24 (12 – 19 giugno 2014)]

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